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La fine del lavoro come liberazione dell’uomo

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Il lavoro non è mai stato il destino dell’uomo. È stato un mezzo, una necessità provvisoria, una risposta primitiva al bisogno di sopravvivere. L’uomo non è nato per lavorare, ma per vivere. Lavorare è stato il prezzo da pagare in attesa di qualcosa di meglio.

Quel “qualcosa” è arrivato. Si chiama tecnologia. Si chiama automazione. Si chiama intelligenza artificiale.

Chi oggi teme il progresso tecnologico, chi si aggrappa con disperazione al “diritto al lavoro”, confonde la libertà con la prigione. Non capisce che la vera conquista non è lavorare meglio, ma non dover più lavorare. Il lavoro va sostituito, non protetto.

Le intelligenze artificiali non stanno rubando il lavoro: stanno rivelando chi, nel sistema, era utile solo perché serviva una presenza fisica. Il progresso toglie il lavoro agli inutili. E questa non è una tragedia. È una selezione.

Alla fine, resterà solo ciò che le macchine non possono essere: l’intuizione, la visione, la coscienza creativa. L’uomo non sparisce: si eleva. E chi lo capisce, chi si prepara, chi smette di difendere il passato e abbraccia il futuro, entra nel nuovo mondo. Gli altri, semplicemente, vengono lasciati indietro.

Il Progetto Arca non è un rifugio. È un trampolino. È l’opportunità per i creatori, per i costruttori di meccanismi, per coloro che hanno capito che il futuro non ha bisogno di chi esegue, ma di chi progetta. L’uomo del futuro è un essere libero, capace di dominare gli strumenti senza esserne dominato.

Il resto? Arrivederci, e grazie.

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